
Aleksey Kivshenko. Il consiglio di guerra di Fili decide di abbandonare Mosca a Napoleone.
Un percorso psicologico è un vero e proprio viaggio dentro di sè. Un’avventura. Come tutti i viaggi, ci sono momenti belli, altri brutti, momenti emozionanti ed altri piatti. Come tutti i viaggi, l’importante è avere una meta. E fare di tutto per arrivarci.
Gli psicologi e le psicologhe, i terapeuti in generale, dibattono molto su come debba essere strutturata una terapia. Alcuni pensano che sia giusto mettere da subito un limite alle sedute; cioè limitare aprioristicamente la durata del viaggio.
Altri invece non hanno questo limite, e seguono liberamente cosa succede con il paziente. Alcuni pensano sia addirittura assurdo fissare una meta a priori!
Personalmente non penso che sia sensato mettere un limite alla durata di un percorso psicologico, ma penso che sia giusto avere una meta, e monitorare costantemente lo svolgimento del viaggio.

Se la nostra meta, quello su cui ci mettiamo d’accordo fin da subito, è arrivare in America, la terapia è finita solo quando siamo arrivati e in America. E, una volta che l’America è descritta realisticamente all’inizio del percorso, esiste davvero. Ed è realmente possibile raggiungerla.
Purtroppo nel mondo psichico non esistono i biglietti di aereo con una un’ora di partenza e un’ora di arrivo, ma dobbiamo immaginare il viaggio verso le Americhe come quello originariamente fatto dagli esploratori nel 16esimo secolo!
Prendiamo una nave, ma dobbiamo fermarci per fare rifornimento. Possono esserci tempeste, deviazioni, membri dell’equipaggio che fanno un’insurrezione. Possono esserci secche, malattie a bordo, isole segrete scoperte, correnti, venti favorevoli o contrari, mostri marini, naufragi e ripartenze.
Potrà sembrarle troppo romantico…ma è effettivamente così.
Cosa si può fare, per evitare di perdersi nell’Oceano e girare in tondo o, peggio, tornare in Europa con la coda tra le gambe?
Monitorare costantemente l’andamento del percorso. Avere una mappa ed una bussola. Sapere che, se partiamo dalla Norvegia come fecero i Vichinghi, l’Irlanda è prima dell’Islanda, e prima ancora della Groenlandia. Sapere che se scoppia un’epidemia di scorbuto a bordo, dobbiamo fermarci e fare rifornimento di arance o vitamina C, altrimenti l’equipaggio muore.
Io sono l’esperto di navigazione e di mappe, e la posso consigliare, ma in ultima analisi, lei è il solo suo capitano, o come dicevano gli stoici – l’egemonikòn!
Al di fuori di questa metafora fiabesca, ecco come funziona la struttrua di un percorso psicologico:
- Lo scopo delle prime 4 sedute è la conoscenza reciproca con il/la paziente. In queste 4 sedute, formulo una diagnosi. Si sappia che comunico la diagnosi al paziente solo se lo reputo necessario, e ciò non accade sempre. A volte la diagnosi può essere utile per il/la paziente, come nel caso di neurodivergenze o psicosi (ma anche in questi casi, va sempre “tarata” …). Spesso però non lo è perchè il paziente rischia di “etichettarsi” e di identificarsi con il proprio problema. Quello che invece è molto utile è maturare una conoscenza meta-cognitiva del proprio funzionamento, al di là delle etichette.
- Una volta maturata una conoscenza reciproca di base si stabiliscono dei macro-obiettivi comuni.
- Si individuano dei sotto-obiettivi, che sono perseguiti a cicli di 20 sedute.
- Dopo che le 20 sedute sono passate, io e il paziente riportiamo i remi in barca e ricontrattualizziamo il percorso. Che obiettivi abbiamo raggiunto? Che cambiamenti emotivi, cognitivi, comportamenti e interpersonali possiamo notare? Cosa sta funzionando e cosa no del rapporto tra noi due? In che direzione vogliamo procedere?

- Una volta che abbiamo stabilito delle nuove zone di lavoro, ricomincia la discesa nel profondo, nelle 20 sedute successive.
- Questo andamento prosegue fino a che il/la paziente, io, o entrambi, decidiamo che il rapporto è concluso perché abbiamo raggiunto i macro-obiettivi, perché sono subentrate delle contingenze (es. trasferimento, cambio di lavoro), o perché il nostro rapporto non funziona più ed è meglio interrompere il percorso o rimandare ad un altro/a collega.
- Non c’è limite temporale prestabilito ad un percorso o il numero di “cicli”, ma è mia premura che il trattamento duri solo quanto necessario e che sia più efficiente – ossia il più rapido – possibile. Inoltre, il monitoraggio costante del funzionamento psicosociale mi spinge a cercare di favorire i cambiamenti. Quanto non significa fare violenza alle naturali tempistiche del cambiamento.

Se interessato/a un percorso, la prego di compilare questo form.