La mia teoria. 3 – Il sistema di attaccamento

Tipica risposta comportamentale di un piccolo di scimmia Rhesus spaventato verso una madre surrogata “panno” durante un test della paura. Harry Harlow, 1958, “The Nature of Love” [12]. Pubblico dominio.

Nella prima sezione, abbiamo delineato i tratti principali dell’evoluzionismo. Nella seconda, quelli dei sistemi motivazionali.

Facciamo adesso lo zoom su uno specifico sistema motivazionale, quello dell’attaccamento, che è estremamente importante, sia dal punto di vista della storia della Psicologia, sia nel determinare i comportamenti di sofferenza dei pazienti.

La teoria dell’attaccamento, inizialmente proposta dallo psichiatra inglese John Bowlby [13, 14, 15], postula che gli esseri umani – in generale, molti animali [12, 16, 17] – hanno un vitale bisogno dei propri caregiver, cioè di coloro che si prendono cura di loro.

Il sistema di attaccamento è stato “disegnato” dall’evoluzione per farci stare vicini dal punto di vista fisico e affettivo ai nostri caregiver, specialmente nei momenti di percepito pericolo.

In altre parole: quando siamo spaventati e incapaci di risolverla da “soli” sentiamo l’esigenza di “attaccarci” a qualcuno di fidato [13, 14, 15]. Un po’ come la scimmietta nella figura.

Nell’ambiente evoluzionistico in cui siamo cresciuti sarebbe facile morire senza questo istinto. L’attaccamento è infatti la conditio sine qua non per la sopravvivenza dei “cuccioli d’uomo” [18].

Quando siamo piccoli, i caregiver principali sono mamma e papà. In realtà il circolo dei caregiver si amplia parecchio, soprattutto se consideriamo il nostro ambiente di adattamento evoluzionistico. Ecco entrare in scena fratelli e sorelle maggiori, cugine, cugini, zie, zii, nonni, amici, etc – il cosiddetto fenomeno del cooperative breeding [10].

Quando siamo grandi, il caregiver di riferimento è il nostro partner amoroso (ma anche altre figure, come amici molto stretti, lo psicoterapeuta, alcuni familiari, etc) [19].

Bimbo che fa il gesto “mano alla bocca”, un tipico comportamento di auto-regolazione manifestato dai bambini con pattern di attaccamento disorganizzato, fatta dall’autore con ChatGpt e ispirata alle figure originali riportate da Main e colleghi [23].

Tra tutti i sistemi motivazionali, l’attaccamento ha un ruolo fondamentale perché ci rende, per definizione, dipendenti.

Questa dipendenza “obbligata” è molto pericolosa.

L’attaccamento ci spinge infatti a fidarci anche di coloro che potenzialmente non sono in grado di prendersi cura di noi [20, 21].

Dal punto di vista evoluzionistico, un attaccamento a una figura maltrattante/non disponibile è pur sempre meglio che un assenza totale di attaccamento [20, 21, 22].

Questa apertura “forzata” biologicamente ci rende vulnerabili.

Spesso siamo feriti in queste relazioni. Anche gravemente.

Queste ferite sono così profonde dentro di noi che ce le portiamo dietro per moltissimo tempo. Esse alla base di molte nostre sofferenze da bimbi, adolescenti e adulti [19].

Terapeuticamente, andare ad “aggiustare” il sistema di attaccamento significa offrire al paziente una nuova possibilità di essere dipendente e spaventato senza che questo si accompagni a ciò che lo ha ferito: indifferenza, rifiuto attivo, abdicazione al ruolo genitoriale, etc. [19].

Un’attenta considerazione del sistema di attaccamento sembra importante nel processo di guarigione [35].

Il sistema di attaccamento (come tutti i sistemi) può essere modificato dalle esperienze a cui va incontro. E questo ci porta alla prossima sezione

Bibliografia

[10] Del Giudice, M. (2022). The motivational architecture of emotions. In L. Al-Shawaf, & T. K. Shackelford (Eds.), The oxford handbook of evolution and the emotions. Oxford University Press.

[12] Harlow, H. F. (1958). The nature of love. American psychologist13(12), 673.

[13] Bowlby, J. (1969). Attachment and loss: Volume I: Attachment. Attachment and loss: Volume I: Attachment (pp. 1–401). London: The Hogarth Press and the Institute of Psycho-Analysis.

[14] Bowlby, J. (1973). Attachment and loss: Volume II: Separation, anxiety and anger. Attachment and loss: Volume II: Separation, anxiety and anger (pp. 1–429). London: The Hogarth press and the institute of psycho-analysis.

[15] Bowlby, J. (1980). Attachment and loss: Volume III: Loss, sadness and depression. Attachment and loss: Volume III: Loss, sadness and depression (pp. 1–462). London: The Hogarth press and the institute of psycho-analysis.

[16] Insel, T. R., & Young, L. J. (2001). The neurobiology of attachment. Nature Reviews Neuroscience2(2), 129-136.

[17] Mota-Rojas, D., Marcet-Rius, M., Domínguez-Oliva, A., Buenhombre, J., Daza-Cardona, E. A., Lezama-García, K., … & Bienboire-Frosini, C. (2023). Parental behavior and newborn attachment in birds: life history traits and endocrine responses. Frontiers in Psychology14, 1183554.

[18] Main, M. (1979). The ‘ultimate’ causation of some infant attachment phenomena: Further answers, further phenomena, further questions. Behavioral and Brain Sciences, 2, 640–643. p.643.

[19] Zagaria, A., Baggio, T., Rodella, L., & Leto, K. (2024). Toward a definition of Attachment Trauma: integrating attachment and trauma studies. European Journal of Trauma & Dissociation, 100416.

[35] Slade, A., & Holmes, J. (2019). Attachment and psychotherapy. Current opinion in psychology25, 152-156.